Autore: mnc.fabra
Sopravviviamo in una società della positività che nel tentativo di sbarazzarsi di tutto ciò che è negativo elimina l’insegnamento del dolore, una collettività che si sta atomizzando a causa della scomparsa dei riti. In due saggi importanti il filosofo tedesco di origini coreane Byung-Chul Han, con una prosa che colpisce per il nitore, affonda la lama del suo pensiero nella carne del contemporaneo. Un brandello alla volta si svela così la messinscena del nostro presente, mentre dalle pagine di La società senza dolore (Einaudi Stile libero) e La scomparsa dei riti (nottetempo) emerge uno specchio nel quale studiare se stessi con più onestà. E sembra quasi ironico che uno stile così instagrammabile venga usato per una critica esaustiva dell’impatto dei social media sull’esistenza.
Ecologia personale verso ecologia ambientale.
“ECOLOGIA PERSONALE ECOLOGIA DEL PIANETA” di Monica Fabra
Quello che amo
mi ha detto
che ha bisogno di me.
Per questo
ho cura di me stesso
guardo dove cammino e
temo che ogni goccia di pioggia
mi possa uccidere.
Bertolt Brecht
Un paziente che fa parte del gruppo che elabora il contesto, lo spazio/tempo attuale in cui viviamo, mi manda questa poesia di Bertolt Brecht a significare la necessità di prendersi cura di sé stessi per potere poi prendersi cura di chi ha bisogno di noi.
Questo mi fa pensare al messaggio dell’infermiera a Mario Pigazzini e alla richiesta di una collega che lavora in ospedale, anche con i reparti Covid e sta cercando di costruire un dispositivo psicologico di aiuto. Essere aiutati per aiutare. Essere accompagnati e saper accompagnare.
Pensiero che si lega per me alla necessità di ri-pensare, riflettere, al rapporto non solo di interconnessione tra noi tutti, ma anche, forse soprattutto, tra noi e il pianeta.
Da più parti ormai alcuni scienziati e scrittori dichiarano che il problema più grande attuale non è la pandemia, bensì l’ecologia ambientale. Sia la sanità che l’economia dipendono dall’ambiente, concretamente, nelle decisioni che verranno prese a livello ambientale. Se non impostiamo il nostro modo di abitare il pianeta con criteri di una ecologia sostenibile siamo destinati, o meglio costruiamo noi stessi un destino, a un moltiplicarsi delle pandemie (che pure ci sono da sempre) e a un ulteriore deterioramento dell’economia su scala mondiale, globale.
Tutto questo ha a che fare anche con gli operatori sanitari, cui è destinato questo documento, perché, forse solo preconsciamente, sanno che tutto il loro estenuante adoperarsi al di sopra dei propri limiti (fisici, mentali, psicologici) nel tentativo di salvare vite umane viene vanificato, annullato, da un mal-trattamento che noi umani infliggiamo al nostro pianeta.
In italiano terra e natura sono termini femminili. Non solo, ci riferiamo ad essi come ‘madre Terra’ e ‘madre natura’.
E noi esseri umani ci comportiamo nei confronti della Terra e della natura come piccoli bambini onnipotenti che si aspettano da Terra e natura solo il bene, che pensano di potere attingere da esse senza limiti, che ritengono le loro risorse, della natura e della Terra, inesauribili, che se ne ritengono proprietari e le considerano, narcisisticamente e onnipotentemente, un prolungamento di sé. Terra e natura sono dunque deputate solo al servizio dei nostri bisogni.
Ma un neonato può impunemente e correttamente vivere la dimensione onnipotente del desiderio, onnipotenza che la madre conferma cercando di rispondere e soddisfare i suoi bisogni e desideri. Poi, procedendo nel suo sviluppo, se esso prosegue in modo sano, abbandonerà gradualmente l’illusione di onnipotenza e riconoscerà i propri limiti. Evoluzione indispensabile per una maturità sana e per compiere il passaggio dall’onnipotenza fantasticata alla reale potenza, cioè alla capacità di riconoscere i propri bisogni e di sapersene occupare, prendersene cura, il meglio possibile.
Mario Pigazzini tempo fa ci indicava come il tabù più difficile da superare era quello del cannibalismo, del divorare l’altro essere della stessa specie. Non ricordo dove, in un libro di antropologia, ho letto una osservazione acuta e illuminante: l’allattamento al seno materno rappresenta il superamento del cannibalismo in tutte le specie mammifere. Il cucciolo si nutre del latte materno, del corpo della madre, senza distruggerlo, senza esaurirlo. Anzi, è anche il suo succhiare che stimola la produzione di latte. I cuccioli crescendo vengono ‘svezzati’. Nei confronti della madre natura e della madre Terra gli esseri umani non hanno superato l’illusione di onnipotenza (proiettato su di esse ritenute onnipotenti e dotate di risorse inesauribili), se ne sono sempre ritenuti proprietari, hanno chiesto loro di soddisfare propri piaceri e desideri a volte deformati, non necessari, addirittura perversi (potere e ricchezza esorbitanti e con grande disuguaglianze). Si è trattato di un vero sfruttamento, di un rapporto a senso unico, privo di ogni reciprocità. Di un accampare diritti e pretese via via esponenzialmente moltiplicantesi.
Alcune culture si sono sottratte a questo modo di intendere la Terra e la natura, come per esempio la cultura pellerossa, dei nativi americani. Questi umani si considerano ospiti del pianeta Terra come tutte le altre specie, animali o vegetali che siano. Si ritengono essi stessi parte della natura di cui quindi rispettano le leggi. Alla base della psicologia di queste culture c’è il panteismo, la concezione che l’essere spirituale sia intrinsecamente presente in ogni manifestazione vivente, e non trascendente, non ‘soprannatutale’. I bisogni della terra, degli altri animali, della natura, dell’ambiente tutto vengono rispettati quanto i bisogni della razza umana nella misura del possibile. Nel ‘Laudato si’ mi’ Signore’ ritroviamo lo stesso spirito, pure nella credenza di un Dio creatore trascendente. Tutte le creature della terra, non solo gli esseri umani, gli animali, ma l’acqua, il sole, il vento, il fuoco, luna e stelle, ogni filo d’erba, tutto il creato dunque, e anche la ‘morte corporale’, sono motivo di lode e ringraziamento in quanto doni a noi fatti, canta San Francesco.
L’inquinamento non è un fenomeno recente, bensì antichissimo. E’ stato sufficiente il passaggio da cacciatori nomadi ad allevatori e coltivatori stanziali, per alterare i cicli naturali di rigenerazione dell’habitat circostante. La capacità esplorativa e adattativa della razza umana, alla base dell’espansione in ogni luogo abitabile e del conseguente aumento demografico, non sono le sole cause dell’inquinamento e del maltrattamento di pianeta e natura. Con il progredire della scienza e della tecnologia l’uomo può non solo recare danni al nostro pianeta, ma anche prendersene cura. O almeno ‘potrebbe’, se non fosse guidato da obiettivi individuali ed egocentrici di profitto ed espansione di potere. La ricerca, la scienza, la tecnologia sono strumenti essenziali per creare modalità ecosostenibili di avere a che fare con l’ambiente.
Un piccolo esempio è l’osservazione di come, agli inizi della costruzione delle dimore fisse, gli umani hanno avuto bisogno di difendersi dalla natura, dalle specie animali di predatori e dalle specie vegetali infestanti. La natura era invadente e andava limitata nel suo espandersi. Oggi, con la stragrande maggioranza della popolazione mondiale concentrata nelle città, c’è bisogno di portare il più possibile la natura, intesa come specie vegetali, piante e alberi, nelle città. Le foreste respirano, consumano anidride carbonica, abbassano la temperatura.
Stefano Mancuso spiega bene come sia necessario piantare alberi anche o forse soprattutto nelle città, per ‘respirare’, noi e l’intero pianeta.
Confesso che la mia scelta del mestiere di psicoanalista è avvenuta dopo mesi di seminari di ecologia: mi ero resa conto quanto non fosse sufficiente progettare e costruire depuratori se contemporaneamente non si faceva nulla per modificare il modo di pensare, la mentalità
Il covid, vissuto in modo drammatico da chi lavora con i malati, dai malati stessi e dai loro familiari, si pone come un segnale di allarme sull’occuparsi in modo ben diverso dell’habitat, della natura, del nostro pianeta. Diventa necessario vivere e adottare comportamenti ecosostenibili. Prendersi cura significa pensare in modo ‘preventivo’, non solo adoperarsi nelle emergenze senza interrogarsi sul prevenire che esse si ripetano. Significa sentirsi responsabili delle proprie azioni e delle loro conseguenze.
Ecologia personale verso ecologia ambientale comporta anche una ecologia psicologica. Per progettare il futuro occorre elaborare il presente, quindi dare un senso (significato e direzione) al proprio modo di essere, di agire, di pensare qui e ora.
Chi non sarà toccato dal covid o, anche se toccato, non ne rimarrò vittima, sarà un ‘sopravvissuto’. Ben conosciamo le difficoltà dei sopravvissuti alle guerre, alle catastrofi naturali, alle malattie pandemiche. L’arrivo del vaccino non è assolutamente la soluzione della pandemia: ci aiuterà a bloccare il più possibile il diffondersi di questo virus e renderà chi l’avrà fatto un sopravvissuto. Ma questo non annullerà ciò che ha vissuto prima.
Non si tratta di cancellare le scritte del gesso su una lavagna, ma di trasformare l’esperienza vissuta concretamente ed emotivamente in una risorsa che possa essere utilizzata per procedere in modo più consapevole.
A proposito del prendersi cura, di sé e degli altri, e del saper accompagnare, concludo con un’altra poesia:
Se un giorno avrai voglia di piangere
Se un giorno avrai voglia di piangere chiamami:
non prometto di farti ridere ma potrò piangere con te…
Se un giorno riuscirai a fuggire,
non esitare a chiamarmi:
non prometto di chiederti di rimanere,
ma potrò fuggire con te…
Se un giorno non avrai voglia di parlare con nessuno,
chiamami: staremo in silenzio…
Ma se un giorno mi chiamerai e non risponderò,
vieni correndo da me:
perché di certo avrò bisogno di te!.
Gabriel García Márquez
Il silenzio delle piante
Il silenzio delle piante
Viaggiamo insieme.
E quando si viaggia insieme si conversa, […]
Non mancherebbero argomenti, molto ci unisce,
La stessa stella ci tiene alla sua portata.
Gettiamo ombre basate sulle stesse leggi.
Cerchiamo di sapere qualcosa, ognuno a suo modo,
e ciò che non sappiamo, anch’esso ci accomuna.
Wisława Szymborska
Articolo
Il saluto tra animali
INTERNAZIONALE
L’evoluzione spiega perché il distanziamento sociale è così difficile
David Robson, New Scientist, Regno Unito
17 novembre 2020
Il 9 marzo il primo ministro olandese Mark Rutte ha indetto una conferenza stampa per parlare del modo in cui il suo paese ha risposto alla pandemia di covid-19. “D’ora in poi non ci stringeremo più le mani”, ha dichiarato, ma poco dopo ha teso prontamente la mano per salutare un esperto di malattie infettive.
Siamo in molti a provare solidarietà per lui. Il distanziamento sociale sembra innocuo ma quest’anno abbiamo scoperto quanto possa essere difficile all’atto pratico. I saluti tattili come le strette di mano, gli abbracci, i baci e lo strofinio dei nasi sono profondamente radicati in molte culture. Questi gesti però non vengono soltanto appresi. Basta guardare al regno animale per accorgersi che gli individui di molte specie, soprattutto quelle dalla socialità più spiccata, mettono in scena rituali sociali quando si avvicinano gli uni agli altri. Il nostro impulso a toccarci quando ci salutiamo ci sembra istintivo perché in realtà lo è.
Le forme di saluto adottate dagli animali possono essere molto diverse dai nostri e in alcuni casi comprendono dita infilate negli occhi e altri gesti che forse ci fanno venire la pelle d’oca. Comprendere questi comportamenti può insegnarci tuttavia qualcosa sui saluti tra esseri umani. Esaminare l’evoluzione del saluto fa luce sui modi impercettibili in cui questi comportamenti facilitano le interazioni sociali e ci fa capire perché sono così diversi. Poiché siamo una specie super-sociale, non c’è da stupirsi se molti di noi fanno fatica ad adeguarsi alla nuova normalità. La buona notizia però è che abbiamo dato prova di essere maestri nell’adattare i nostri saluti a nuove situazioni.
Incontri animali
I mammiferi tendono a usare gli odori per capirsi tra loro, il che spiega perché si salutano in modo così intimo. Un nuovo incontro spesso comprende l’annusare la faccia, i fianchi e i genitali dell’altro individuo per catturare sostanze chimiche volatili che riflettono il suo stato ormonale. Si ottengono così indizi sulla forza e la fertilità dell’altro, e questo consente agli animali di prendere le misure di potenziali avversari o partner.
Come i nostri saluti, la durata e l’intimità di questi scambi riflettono la natura della relazione. I ratti sottomessi, per esempio, si fanno annusare a lungo da individui più dominanti, ma rischiano una zuffa se diventano troppo amichevoli. Con il loro comportamento sembrano offrire una sorta di “segnale di riconciliazione” che fa scemare la tensione, e questo non avviene solo attraverso segnali chimici nei loro odori corporei. Daniel Wesson della Case western reserve university, Ohio, ha scoperto che i ratti che hanno perso il senso dell’odorato continuano ad annusarsi gli uni con gli altri, e questo suggerisce che il comportamento è di per sé importante per stabilire la gerarchia sociale.
Gatti e cani si comportano allo stesso modo con il loro caratteristico strofinare la testa per scambiarsi gli odori salutandosi. Ci sono prove del fatto che questi gesti possono segnalare buone intenzioni anche oltre la barriera della specie. Una ricerca sui gatti e sui cani che vivono nella stessa casa ha evidenziato come il 75 per cento di questi animali si annusa regolarmente naso a naso, un gesto che a quanto pare li aiuta a convivere a così stretto contatto. Questo può accompagnarsi ad altri segnali fisici: un gatto che alza la coda segnala intenti amichevoli, mentre un cane potrebbe accucciarsi e guardare verso l’altro per dimostrare di non avere intenzione di combattere.
Per trovare saluti più elaborati dobbiamo tuttavia rivolgere la nostra attenzione ai primati, più simili a noi, molti dei quali pare usino segnali ritualizzati per orientarsi nelle relazioni sociali. In alcune specie di babbuini, per esempio, i saluti vanno dallo schioccare delle labbra al muovere su e giù la testa fino al toccarsi reciprocamente il sedere o i genitali. Alcuni babbuini addirittura eseguono insieme una sorta di conga. “Hanno un modo davvero singolare di salutarsi: un maschio si avvicina all’altro e gli afferra i posteriori e poi inizia a camminare”, dice Federica Dal Pesco del Centro tedesco per i primati di Gottinga.
I saluti aiutano gli individui a testare la fiducia reciproca e a costruire alleanze
In molti di questi comportamenti, in particolare quelli che coinvolgono i genitali, è compreso un elemento di rischio e di vulnerabilità. “È molto importante che non si feriscano perché da questo dipende la loro futura capacità di riprodursi”, afferma Del Pesco. Da un punto di vista evolutivo, comportamenti di questo tipo dovrebbero rappresentare un serio tabù, a meno che non ne possa derivare un beneficio significativo che prevalga sul pericolo. Ma cosa potrebbe essere?
La risposta, secondo Del Pesco, va cercata nelle strutture delle società dei babbuini. La studiosa sottolinea come comportamenti più rischiosi e intimi siano più comuni tra specie fortemente cooperative come i babbuini della Guinea, dove i maschi formano coalizioni caratterizzate da legami molto stretti. A suo avviso, i saluti aiutano gli individui a mettere alla prova la fiducia reciproca e a costruire alleanze che in futuro potrebbero aumentare le loro possibilità di sopravvivenza. “I saluti permettono di entrare in contatto con molti individui della propria società e in modo diverso a seconda del tipo di relazione che lega tra loro gli individui”, afferma Del Pesco.
Si riscontrano comportamenti altrettanto intricati tra i cebi cappuccino dalla faccia bianca, che annoverano tra i loro rituali le strette di dita, gli abbracci e l’imbarazzante pratica di infilarsi reciprocamente le dita nell’orbita degli occhi, a volte fino alla prima falange. Come i babbuini, anche i cebi hanno una società complessa in cui gruppi di maschi formano bande, il che suggerisce ancora una volta come interazioni rischiose consentano alle scimmie di mettere alla prova e confermare le loro relazioni.
E dunque, queste interazioni tra animali cosa ci insegnano? Anche noi viviamo in società complesse in cui fiducia e cooperazione hanno un’enorme importanza. Naturalmente i nostri saluti sono impregnati di un simbolismo e un significato più profondo e sono molto variegati, dall’inchino namaste in India all’hongi dei maori, in cui una persona preme il naso contro quello dell’altra, alle strette di mano e i baci sulla guancia. Eppure, per quanto possiamo apparire più sofisticati, le ultime ricerche sembrerebbero suggerire come molti dei nostri gesti abbiano la stessa funzione di quelli che si scambiano gli animali.
Ti annuso per stanarti
Qualsiasi saluto che comprende un contatto corporeo può darci la possibilità di cogliere degli indizi chimici. Sebbene l’esistenza di feromoni umani sia dibattuta, la ricerca suggerisce che potremmo essere in grado di valutare il grado di salute e fertilità di un’altra persona da elementi presenti nella saliva, il che fornirebbe una possibile base razionale per lo strano fenomeno del bacio romantico. Ci sono inoltre prove del fatto che l’odore del nostro corpo può comunicare informazioni sullo stato emotivo di una persona o addirittura sul suo eccitamento sessuale. I nostri saluti possono darci la possibilità di saggiare questi aromi senza annusare apertamente il corpo di un’altra persona.
È quanto emerge dalla ricerca di Idan Frumin del Weizmann institute of science in Israele, che una volta ha osservato come durante una conferenza le persone si passavano spesso la mano sotto il naso dopo averla stretta a qualcuno in segno di saluto. Si è chiesto allora se questo “bizzarro rituale” avesse la finalità di cogliere una zaffata dell’odore naturale dell’altro. Per verificare questa idea, la sua squadra ha ripreso di nascosto le persone in visita al laboratorio mentre aspettavano di partecipare a un esperimento. Dopo circa tre minuti di attesa uno scienziato appartenente allo stesso genere del visitatore entrava nella stanza, si presentava e poi usciva. Dal video si vedeva come le persone fossero maggiormente inclini a portarsi la mano al viso se lo scienziato l’aveva stretta; molti si toccavano direttamente il naso dopo l’incontro. Per essere certo che le persone si stessero davvero annusando la mano, Frumin ha dotato un altro gruppo di volontari di un sensore che misurava i loro flussi d’aria nasali. Quando la mano che era stata stretta era vicino al volto del partecipante, questi flussi d’aria raddoppiavano.
Questa ricerca corrobora l’idea che i saluti formalizzati ci permettono di saggiare l’odore di un’altra persona senza darlo a vedere. “Sotto questo aspetto non siamo molto diversi dai ratti”, afferma Frumin. Se ha ragione, questo può anche spiegare perché per noi è così difficile smetterla di toccarci il viso, un’altra delle cose che non si deve fare nel contesto della pandemia attuale.
Come i rituali dei babbuini e delle scimmie cappuccino, anche i nostri saluti tattili ci consentono di valutare il carattere di un’altra persona e stabilire se possiamo fidarci. Una ricerca ha rilevato come la forza e la durata di una stretta di mano possano fornire una previsione abbastanza precisa dei tratti della personalità, tra cui l’estroversione, la nevrosi e la larghezza di vedute. Francesca Gino dell’università di Harvard ha scoperto che gli studenti coinvolti in trattative immobiliari simulate tendevano a essere più sinceri sulla qualità della proprietà immobiliare se erano stati incoraggiati a darsi una stretta di mano prima dell’attività.
Segnali di fiducia
Anche se queste ricerche prendono in considerazione solo la stretta di mano, molti altri gesti fisici potrebbero avere scopi simili. Un’analisi dei giocatori della National basketball association statunitense, per esempio, ha rilevato come le squadre che all’inizio della stagione 2008-2009 si scambiavano regolarmente saluti col pugno, si davano il cinque, si abbracciavano e si stringevano nei mesi successivi hanno riportato di solito risultati migliori. Un linguaggio corporeo così aperto ci rende fisicamente vulnerabili e segnala la nostra volontà a collaborare con l’altro in buona fede.
Purtroppo, come stiamo scoprendo in questo periodo, il contatto tattile ha un aspetto negativo. A prescindere da quanto possiamo fidarci di qualcuno, un’interazione ravvicinata rischia di trasferire agenti patogeni. In realtà la minaccia della malattia sembra aver avuto un impatto sulle tipologie di saluto adottate da molte culture molto tempo prima della comparsa del covid-19.
Damian Murray e i suoi colleghi della Tulane university di New Orleans hanno setacciato la banca dati etnografica alla ricerca dei cerimoniali di saluto in 186 culture a cui hanno poi attribuito un punteggio da 0 a 5 a seconda del grado di contatto fisico. Alla stretta di mano è stato attribuito un due, all’abbraccio un tre e allo scambio di saliva in un bacio o in una “stretta di mano con sputo” un cinque. Hanno scoperto una piccola ma significativa correlazione tra questi punteggi e la prevalenza locale di agenti patogeni. Murray afferma che dove il rischio è elevato, le persone hanno sviluppato saluti distanziati che trasmettono simbolicamente il desiderio di cooperazione e fiducia. Analogamente, i ricercatori hanno scoperto che il bacio romantico, in precedenza ritenuto universale, era assente dal 58 per cento delle società che avevano una prevalenza di agenti patogeni superiori alla media. “Bilanciano i costi e i benefici del contatto fisico”, afferma Murray.
Queste scoperte vanno nella stessa direzione di un’altra ricerca sul “sistema immunitario comportamentale”, ossia l’idea che parte delle nostre difese contro le infezioni è rappresentata da una tendenza evoluta ad adattare le nostre azioni in risposta a una minaccia. Gli studi svelano che il solo pensiero di una malattia può influenzare i nostri atteggiamenti e le nostre interazioni con gli altri. Per esempio, è meno probabile che le persone mostrino comportamenti estroversi quando sono più consapevoli dei rischi di infezione. “Come il contatto fisico, il contatto sociale esteso è associato con una maggiore possibilità di contrarre una malattia”, afferma Murray.
Il sistema immunitario comportamentale può anche spiegare perché per noi è particolarmente difficile evitare di abbracciare o baciare i nostri amici e familiari. La ricerca indica che siamo predisposti a ritenere meno probabile che le persone che fanno parte del “nostro gruppo” possano trasmetterci delle malattie rispetto a chi non ne fa parte. Dopo tutto, nel nostro passato evolutivo gli stranieri avevano maggiori probabilità di essere portatori di agenti patogeni che non avevamo mai incontrato prima. Questo significa che il nostro intuitivo senso del rischio connesso al contatto corporeo è molto più basso quando ci troviamo tra amici e familiari, anche se questi ultimi hanno esattamente la stessa probabilità di chiunque altro di essere portatori del virus responsabile del covid-19. Il problema è complesso, perché queste sono le stesse persone con le quali più desideriamo avere contatti fisici per rafforzare i nostri legami.
Tenuto contro della competizione tra il nostro sistema immunitario comportamentale e il nostro desiderio di contatto fisico, non c’è da stupirsi se molti di noi, compresi i nostri leader e capi di stato, hanno avuto difficoltà ad adeguarsi a queste nuove norme sociali. Naturalmente il comportamento umano è flessibile e stiamo imparando in fretta.
“La minaccia della malattia sembra aver influenzato il modo in cui molte culture si salutano”. Non si sa se queste abitudini rimarranno anche dopo che ci saremo lasciati alle spalle la minaccia immediata. “Dovremo capirlo in tempo reale”, afferma Murray, anche se a suo avviso potrebbero persistere. “È capitato molte volte che esigenze istituzionali sui comportamenti abbiano modificato le norme culturali sottostanti”, afferma, sottolineando come per esempio oggi noi consideriamo moralmente disdicevole fumare su un aereo o guidare senza indossare la cintura di sicurezza, comportamenti un tempo accettati. Allo stesso modo la stretta di mano e l’abbraccio potrebbero finire per essere considerati inappropriati come infilare il dito in un occhio a qualcuno o afferrargli il sedere.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
Da sapere
Una breve storia dei saluti
I saluti fisici fanno parte della natura umana, ma variano moltissimo da cultura a cultura. Le origini di alcune forme di saluto sono confuse. Ad esempio, gli indizi più antichi della stretta di mano si possono vedere in un bassorilievo assiro del nono secolo a.C., in cui re Shalmaneser III è ritratto mentre ratifica un’alleanza con una stretta di mano. La stretta di mano si trova anche nella letteratura dell’antica Grecia come segno di ospitalità.
Le testimonianze del bacio sono ancora più antiche. Riferimenti al bacio romantico possono essere riscontrate in alcuni dei testi più antichi del mondo, tra cui le scritture vediche e l’antica poesia sumera, risalenti a 3500 anni fa. Il bacio sociale risale almeno all’impero romano, quando era considerato una forma di saluto tra pari. L’imperatore Tiberio, che regnò dal 14 al 37 d.C., proibì la pratica durante i ricevimenti a corte, poiché si riteneva potesse diffondere una pericolosa infezione facciale. Il divieto non durò a lungo: il bacio sulla guancia è ancora oggi una forma di saluto particolarmente diffusa nell’Europa meridionale.
In alcune culture ci si tocca il naso per salutarsi. Questo saluto è noto con il nome di hongi tra i maori della Nuova Zelanda, che considerano la pratica di “condividere il respiro” un simbolo dell’unità tra due popoli. Lo stesso saluto si trova anche tra alcune culture inuit, anche se non è così diffuso quanto lo stereotipo del “bacio eschimese” lascerebbe intendere.
Molte culture preferiscono saluti socialmente distanziati, come l’inchino, per simboleggiare la fiducia e la cooperazione. Anche queste forme di saluto sono molto antiche. Le scritture della valle dell’Indo descrivevano l’inchino namaste già più di quattromila anni fa e l’inchino come forma di saluto è ancora oggi comune in paesi come l’India, il Giappone e la Thailandia. In Tibet le persone tirano fuori la lingua per dimostrare le loro buone intenzioni.
Queste forme di saluto a distanza rappresentano ancora oggi la scelta più sicura se si vuole trasmettere un messaggio di buon augurio senza entrare in un contatto troppo ravvicinato. Tuttavia, forme di saluto inventate più di recente potrebbero rappresentare delle valide alternative. Ci sono prove del fatto che il saluto col pugno, nato negli anni sessanta, diminuisca il rischio di trasmettere una malattia rispetto a una stretta di mano formale. Assieme al saluto col gomito, che sembra avere avuto origine negli anni ottanta, potrebbe diventare molto più comune adesso che la pandemia di covid-19 ci ha resi più consapevoli del rischio di trasmettere malattie comportato da forme di saluto più intime.
Benvenuto in WordPress. Questo è il tuo primo articolo. Modificalo o cancellalo e quindi inizia a scrivere!