Ecologia personale verso ecologia ambientale.

  “ECOLOGIA PERSONALE  ECOLOGIA DEL PIANETA” di Monica Fabra

Quello che amo
mi ha detto
che ha bisogno di me.
Per questo
ho cura di me stesso
guardo dove cammino e
temo che ogni goccia di pioggia
mi possa uccidere.

                     Bertolt Brecht

Un paziente che fa parte del gruppo che elabora il contesto, lo spazio/tempo attuale in cui viviamo, mi manda questa poesia di Bertolt Brecht a significare la necessità di prendersi cura di sé stessi per potere poi prendersi cura di chi ha bisogno di noi.

Questo mi fa pensare al messaggio dell’infermiera a Mario Pigazzini e alla richiesta di una collega che lavora in ospedale, anche con i reparti Covid e sta cercando di costruire un dispositivo psicologico di aiuto. Essere aiutati per aiutare. Essere accompagnati e saper accompagnare.

Pensiero che si lega per me alla necessità di ri-pensare, riflettere, al rapporto non solo di interconnessione tra noi tutti, ma anche, forse soprattutto, tra noi e il pianeta.

Da più parti ormai alcuni scienziati e scrittori dichiarano che il problema più grande attuale non è la pandemia, bensì l’ecologia ambientale. Sia la sanità che l’economia dipendono dall’ambiente, concretamente, nelle decisioni che verranno prese a livello ambientale. Se non impostiamo il nostro modo di abitare il pianeta con criteri di una ecologia sostenibile siamo destinati, o meglio costruiamo noi stessi un destino, a un moltiplicarsi delle pandemie (che pure ci sono da sempre) e a un ulteriore deterioramento dell’economia su scala mondiale, globale.

Tutto questo ha a che fare anche con gli operatori sanitari, cui è destinato questo documento, perché, forse solo preconsciamente, sanno che tutto il loro estenuante adoperarsi al di sopra dei propri limiti (fisici, mentali, psicologici) nel tentativo di salvare vite umane viene vanificato, annullato, da un mal-trattamento che noi umani infliggiamo al nostro pianeta. 

In italiano terra e natura sono termini femminili. Non solo, ci riferiamo ad essi come ‘madre Terra’ e ‘madre natura’. 

E noi esseri umani ci comportiamo nei confronti della Terra e della natura come piccoli bambini onnipotenti che si aspettano da Terra e natura solo il bene, che pensano di potere attingere da esse senza limiti, che ritengono le loro risorse, della natura e della Terra, inesauribili, che se ne ritengono proprietari e le considerano, narcisisticamente e onnipotentemente, un prolungamento di sé. Terra e natura sono dunque deputate solo al servizio dei nostri bisogni.

Ma un neonato può impunemente e correttamente vivere la dimensione onnipotente del desiderio, onnipotenza che la madre conferma cercando di rispondere e soddisfare i suoi bisogni e desideri. Poi, procedendo nel suo sviluppo, se esso prosegue in modo sano, abbandonerà gradualmente l’illusione di onnipotenza e riconoscerà i propri limiti. Evoluzione indispensabile per una maturità sana e per compiere il passaggio dall’onnipotenza fantasticata alla reale potenza, cioè alla capacità di riconoscere i propri bisogni e di sapersene occupare, prendersene cura, il meglio possibile.

Mario Pigazzini tempo fa ci indicava come il tabù più difficile da superare era quello del cannibalismo, del divorare l’altro essere della stessa specie. Non ricordo dove, in un libro di antropologia, ho letto una osservazione acuta e illuminante: l’allattamento al seno materno rappresenta il superamento del cannibalismo in tutte le specie mammifere. Il cucciolo si nutre del latte materno, del corpo della madre, senza distruggerlo, senza esaurirlo. Anzi, è anche il suo succhiare che stimola la produzione di latte. I cuccioli crescendo vengono ‘svezzati’. Nei confronti della madre natura e della madre Terra gli esseri umani non hanno superato l’illusione di onnipotenza (proiettato su di esse ritenute onnipotenti e dotate di risorse inesauribili), se ne sono sempre ritenuti proprietari, hanno chiesto loro di soddisfare propri piaceri e desideri a volte deformati, non necessari, addirittura perversi (potere e ricchezza esorbitanti e con grande disuguaglianze). Si è trattato di un vero sfruttamento, di un rapporto a senso unico, privo di ogni reciprocità. Di un accampare diritti e pretese via via esponenzialmente moltiplicantesi.

Alcune culture si sono sottratte a questo modo di intendere la Terra e la natura, come per esempio la cultura pellerossa, dei nativi americani. Questi umani si considerano ospiti del pianeta Terra come tutte le altre specie, animali o vegetali che siano. Si ritengono essi stessi parte della natura di cui quindi rispettano le leggi. Alla base della psicologia di queste culture c’è il panteismo, la concezione che l’essere spirituale sia intrinsecamente presente in ogni manifestazione vivente, e non trascendente, non ‘soprannatutale’.  I bisogni della terra, degli altri animali, della natura, dell’ambiente tutto vengono rispettati quanto i bisogni della razza umana nella misura del possibile. Nel ‘Laudato si’ mi’ Signore’ ritroviamo lo stesso spirito, pure nella credenza di un Dio creatore trascendente. Tutte le creature della terra, non solo gli esseri umani, gli animali, ma l’acqua, il sole, il vento, il fuoco, luna e stelle, ogni filo d’erba, tutto il creato dunque, e anche la ‘morte corporale’, sono motivo di lode e ringraziamento in quanto doni a noi fatti, canta San Francesco. 

L’inquinamento non è un fenomeno recente, bensì antichissimo. E’ stato sufficiente il passaggio da cacciatori nomadi ad allevatori e coltivatori stanziali, per alterare i cicli naturali di rigenerazione dell’habitat circostante. La capacità esplorativa e adattativa della razza umana, alla base dell’espansione in ogni luogo abitabile e del conseguente aumento demografico, non sono le sole cause dell’inquinamento e del maltrattamento di pianeta e natura. Con il progredire della scienza e della tecnologia l’uomo può non solo recare danni al nostro pianeta, ma anche prendersene cura. O almeno ‘potrebbe’, se non fosse guidato da obiettivi individuali ed egocentrici di profitto ed espansione di potere. La ricerca, la scienza, la tecnologia sono strumenti essenziali per creare modalità ecosostenibili di avere a che fare con l’ambiente.

Un piccolo esempio è l’osservazione di come, agli inizi della costruzione delle dimore fisse, gli umani hanno avuto bisogno di difendersi dalla natura, dalle specie animali di predatori e dalle specie vegetali infestanti. La natura era invadente e andava limitata nel suo espandersi. Oggi, con la stragrande maggioranza della popolazione mondiale concentrata nelle città, c’è bisogno di portare il più possibile la natura, intesa come specie vegetali, piante e alberi, nelle città. Le foreste respirano, consumano anidride carbonica, abbassano la temperatura.

Stefano Mancuso spiega bene come sia necessario piantare alberi anche o forse soprattutto nelle città, per ‘respirare’, noi e l’intero pianeta.

Confesso che la mia scelta del mestiere di psicoanalista è avvenuta dopo mesi di seminari di ecologia: mi ero resa conto quanto non fosse sufficiente progettare e costruire depuratori se contemporaneamente non si faceva nulla per modificare il modo di pensare, la mentalità 

Il covid, vissuto in modo drammatico da chi lavora con i malati, dai malati stessi e dai loro familiari, si pone come un segnale di allarme sull’occuparsi in modo ben diverso dell’habitat, della natura, del nostro pianeta. Diventa necessario vivere e adottare comportamenti ecosostenibili. Prendersi cura significa pensare in modo ‘preventivo’, non solo adoperarsi nelle emergenze senza interrogarsi sul prevenire che esse si ripetano. Significa sentirsi responsabili delle proprie azioni e delle loro conseguenze.

Ecologia personale verso ecologia ambientale comporta anche una ecologia psicologica. Per progettare il futuro occorre elaborare il presente, quindi dare un senso (significato e direzione) al proprio modo di essere, di agire, di pensare qui e ora.

Chi non sarà toccato dal covid o, anche se toccato, non ne rimarrò vittima, sarà un ‘sopravvissuto’. Ben conosciamo le difficoltà dei sopravvissuti alle guerre, alle catastrofi naturali, alle malattie pandemiche. L’arrivo del vaccino non è assolutamente la soluzione della pandemia: ci aiuterà a bloccare il più possibile il diffondersi di questo virus e renderà chi l’avrà fatto un sopravvissuto. Ma questo non annullerà ciò che ha vissuto prima.

Non si tratta di cancellare le scritte del gesso su una lavagna, ma di trasformare l’esperienza vissuta concretamente ed emotivamente in una risorsa che possa essere utilizzata per procedere in modo più consapevole.

A proposito del prendersi cura, di sé e degli altri, e del saper accompagnare, concludo con un’altra poesia:

Se un giorno avrai voglia di piangere

Se un giorno avrai voglia di piangere chiamami: 
non prometto di farti ridere ma potrò piangere con te… 
Se un giorno riuscirai a fuggire,
non esitare a chiamarmi: 
non prometto di chiederti di rimanere, 
ma potrò fuggire con te… 
Se un giorno non avrai voglia di parlare con nessuno,
chiamami: staremo in silenzio…
Ma se un giorno mi chiamerai e non risponderò, 
vieni correndo da me:
perché di certo avrò bisogno di te!.

Gabriel García Márquez

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